1966
Anche la pittura Sergio Degipo è all’insegna dell’inquietudine per un’ormai stanca figuratività e per l’estremo disordine regnante nelle cose dell’arte, che si traduce, però, in gran parte, quasi maliziosamente, in uno scatto gioioso della fantasia.
Degipo opera con una tecnica nuova, personale, e ricerca nelle proprie composizioni nient’altro che una sospensione dalla rabbia e dal malcontento che sembrano per l’appunto placarsi in queste visioni che lasciano allo spettatore piena libertà d’interpretazione, non per una casualità rappresentativa ma per una certa polivalenza espressiva che sollecita nuove trame fantastiche.
Informale-materica può definirsi la sua pittura, ma risolta in termini e modi che si riferiscono a nessuna delle moderne esperienze, così lontana, fra l’altro, da ogni esibizionismo di moda. Per cui sentirsi e l’essere isolato consente a Degipo di rifugiarsi in un operare che riflette una dedizione spirituale lieve e intensa attraverso una serie di composizioni dal fascino sottile, che evoca un mondo giocoso e fantastico, e dalla vibrazione drammatica, che comunica un senso di mistero.

Ludovico Parenti – 1966 – Galleria d’Arte Boccadasse


1967

Sergio Degipo è un artista che, consapevole dell’attuale caos delle mode e delle sempre più oscure tendenze dell’arte, nega polemicamente e malinconicamente la propria creatività come fede e poesia dell’uomo per conferirvi invece un’intenzionalità di “gioco” e di “divertimento” che, in definitiva, rivela la sua carica genuinamente romantica.
Perché, contro ogni tecnicismo e ogni tendenza ad un tipo di opera che ha tutto del prodotto di consumo già bello inscatolato e richiesto da un gusto storpiato e alimentato dai numerosi aristarchi, egli oppone il sano sentimento d’una coscienza individuale. Per cui le opere pittorico-materiche di Degipo, pur manifestando la ricerca e l’assunzione du nuovi moduli e strumenti extra-pittorici tipici dell’arte d’oggi (e che confermano la sua modernità), non si risolvono in puro esibizionismo o in una monotona ripetizione di temi o idee, ma, anche se ognuna scaturisce da una precisa disposizione spirituale, quasi sempre irripetibile nella sua interiore temporalità, sono legate da un unico filo conduttore.
Fiori macroscopici, “Radici”, Città”, “Seme”: rappresentazioni emblematiche che esprimono il “deserto dell’uomo”, l’incapacità o il dispregio dell’uomo a nutrirsi di quei valori universali simboleggiati da fiori che bruciano, e il tentativo estremo della Natura di sopravvivere e di salvare, con un atto di estrema appariscenza, un mondo umano offuscato (la città rosa dallo smog).
L’abbandonarsi di Degipo al “gioco” dell’attimo creativo è, dunque, illusorio, e il “divertimento” scopre, al di là d’un effettivo scatto gioioso, un’interpretazione lirica e drammatica della realtà, che è visione poetica e giudizio.

Ludovico Parenti – 1967 – Galleria d’Arte Boccadasse


1967

Chissà se Degipo si rende conto di essere un originale?
Forse un po’ gli piace esserlo.
Questo artista è uno di quei rari esempi di persona dall’intelligenza duttile, dalla logica stringente, non legata a pochi dogmi e formule.
Vasta e aggiornata è la sua cultura che non si ferma in superficie.
Originale è quel fare scanzonato, quel saper inquadrare anche problemi seri in chiave umoristica, originale quell’ironica, mordace critica del costume che gli piace improvvisare.
tutto ciò arricchisce la sua figura professionale; ci parla di una moderna, spregiudicata, interessante apertura mentale, di uno spaziare su orizzonti vasti.
Ora ha raccolto una serie di quadri un po’ pazzi ma poetici, senza un preciso riferimento alla realtà, ma con un aggancio emotivo alla realtà.
Ci piacciono le sue opere, ma soprattutto è nuovo l’intendimento di Degipo artista che “espone per dipingere e non dipingere per esporre”.

Marisca Calza – 1967 – Galleria d’Arte Boccadasse


1968

“Pittura: far “vedere” agli altri ciò che essi possono sentire, capire ed immaginare soltanto guardando ed aderendo a ciò che propongono su una mia tela”.
E così dicendo oggi Degipo propone immagini che parlano di una altra dimensione di vita naturale della quale ancora oggi pochi conoscono appieno le leggi e le manifestazioni più importanti.
Aprendo una quinta nel futuro egli ci induce, ancora una volta, a familiarizzare con espressioni che interpretano un momento al di là del quale, per le prossime generazioni, ci sarà forse uno squarcio di vera e completa pace.
Una dimensione, appunto, di vita naturale nella quale l’uomo, avendo compreso ed interpretato le più recondite leggi dell’universo, cercherà una pacata contemplazione dei risultati ultimi di questa sua conoscenza senza voler guardare più oltre.
La proposta di pensare alle immagini ed alle interrelazioni esistenti in un mondo siffatto Degipo ce la formula con un linguaggio entusiasta ma sicuro, serrato ma dai toni appropriati.
Per dare al suo discorso una valida omogeneità egli ha inoltre dovuto superare suggestioni e richiami provenienti dalla evidente padronanza della tecnica pittorica usata.
L’essere riuscito in questo intento costituisce per Degipo una riprova della sua serietà d’intenti.

Federico Marzinot – 1968 – Galleria d’Arte Boccadasse


1970

Nella pittura d’oggi varie sono le componenti di un metaforico rispecchiamento della realtà. E vari, logicamente, i valori intrinseci al costrutto metaforico. L’ironia, il grottesco, la deformazione disperata, perduti i legami razionali con la realtà, sconfinano in una rappresentazione, riflesso di una inquietudine, di uno stato d’animo in cui la disperazione, talvolta sottile, o la critica balena attraverso visioni “fabulose”.
L’aggressione che Sergio DEGIPO compie sulla realtà umana e naturale é di matrice romantica. In Degipo gli effetti della pittura vanno considerati sul duplice registro, “non distinti assolutamente ma più spesso intercomunicanti e consequenziali” dell’ironia e del dramma. Ironia come atteggiamento distaccato, non necessariamente scettico, come conquista d’una sicura posizione dalla quale ugualmente registrare la relatività d’ogni valore; nella costante incertezza delle cose come certezza della provvisorietà d’ogni punto d’arrivo, e tuttavia stimolo, questo, per una doverosa esigenza di sviluppo; da ciò il secondo elemento caratterizzante della sua pittura, la drammaticità. La quale, estraniandosi per natura da ogni facile commercialità, s’esprime tecnicamente attraverso un’eterogeneità di materiali le cui soluzioni cromatiche sono prodotte dalle più svariate combinazioni chimiche.
Pittura sostanzialmente metaforica, la ricerca del materiale plastico e cromatico da parte di DEGIPO non è mai fine a se stessa, ma tende ad esemplificare con energia aspetti della realtà e a registrare “sul filo di una lucida intuizione regolata da un’appropriata preparazione scientifica ” fabulosamente” l’esistenza di corpi celesti, di zone misteriose dell’universo. E’ la posizione del pittore dinanzi all’ignoto, al misterioso, è un punto esemplare del suo itinerario.
Nonostante certa “gioiosità” del gesto, l’opera precedente di Degipo era, in fondo, una denuncia dell’avvilimento dei valori della persona umana. Natura e persona umana (quest’ultima “assenza-presenza) sono i due termini della prima produzione di Degipo, già ricca di stimoli e di risultati espressivi. In essa già si manifestava una vivacità cromatica e una fantasia aderente ad una lavorazione fondamentalmente materica, e nella quale il materico era il “segno” idoneo per la contrazione compositiva, per l’esplosione della rappresentazione in cui più vivi si manifestassero le istanze e gli umori di un pittore giovane e tanto schivo quanto sottilmente polemico verso un’ormai stanca e trita figurazione.
L’atto di Degipo, il suo comportamento sapientemente equilibrato tra ragione ed emozione, l’estro innegabile, mai disordinato, sempre controllato dalle ragioni espressive, manifestano un attento studio di tutto quanto è moderno e una disciplina che sola può consentire certi risultati. Di modo che il passaggio da certi metaforici paesaggi rosi da un incipiente e misterioso pericolo o da fiori giganteschi assente e presente nello stesso simboleggianti la carenza di genuini valori umani agli attuali paesaggi cosmici non ha potuto stupire quanti seguono un lavoro così coerente.
Anche nelle tele cosmiche, infatti, grandi, spaziose, e nelle quali il pittore domina la materia, senza una sbavatura, senza dispersioni, si riscontrano gli umori drammatici ai quali, nella precedente produzione, pur conduceva, quasi paradossalmente, ma fatalmente, certa gioiosità dell’animo, certa ironia.
Anche qui il cromatismo, ricco ma calibrato, è in funzione della drammaticità di una visione nella quale l’uomo assente e presente nello stesso tempo.
Su questo punto d’apparente squilibrio poggia tutto il significato dell’opera di Degipo, in cui la realtà non viene mai mistificata con la facile consolazione di un rasserenante giudizio, e il “fabulare” di mondi sconosciuti e misteriosi non è sterile evasione, ma un rispecchiamento ancòra delle responsabilità dell’uomo, della sua pendolare inquietudine dinanzi al mistero

Ludovico Parenti – 1970 da “PONENTE D’ITALIA”Rassegna mensile dell’attività ligure-piemontese


1975

Lontanissima, per un verso, da riferimenti tradizionali (il paesaggio, la natura morta, il nudo) e persino dai modi dell’arte astratta e informale, la pittura di Degipo, a suo modo, al reale ritorna. Va in direzione profonda, all’interno dei fenomeni e nelle viscere della terra: e poco importa se sia rappresentazione del microcosmo o del macrocosmo, poiché è indiscusso che infinitamente grande e infinitamente piccolo si assomigliano.
Un chimico alle prese con il microscopio, un astronomo che osservi la composizione dei cieli, un biologo che studi le cellule del corpo umano, indagano lo stesso mondo; compiono, alla fine un’eguale operazione.
Chissà che non siano più vicine di quanto crediamo una galassia e un neoplasma?
Ed è intorno e dentro a questa misteriosa realtà che si muove l’indagine figurativa, non priva di sorprese, di trasalimenti, anche di gioia; spesso di immenso stupore.
Resta comunque la predilezione spiccata del pittore per la cosmologia; non come scienziato, ovviamente ma come attento, colto, fertile lettore.
Tutto, grado a grado, si è coagulato intorno a questa “sirena”, con uno sviluppo conseguente, con un andamento, in un certo senso, fatale: Impostazione scientifica al liceo; gli studi di architettura (dove mi par di vedere radicarsi in Degipo la passione per l’elemento costruttivo, per l’organizzazione azionale, a scopo di vita, dei materiali); l’incontro, fugace ma ricco di implicazioni, con il gruppo della pittura nucleare, a Milano; infine il suo lavoro, attento e rigoroso, di designer.
Così dal ’54 – anno in cui espone, giovanissimo, alla Schwarz di Milano – fino ad oggi (tranne un periodo intorno al ’66, quando nel quadro compaiono echi della natura, come vaghe forme vegetali), la sua ricerca di una pittura cosmologica è stata coerente e tesa, ininterrotta, impegnata in maniera totale.
Il colore viene versato sulla tela, mosso con opportuni movimenti oscillatori, condotto con l’intervento della mano, col gesto, lasciato colare.
Il pittore opera sul quadro, organizza attraversa il colore le sensazioni e i sentimenti; esprime il suo mondo favoloso di immagini, forme, ammassi che sempre si rinnovano e la felicità dell’intervento cosciente e della creazione, E c’è anche, in questo tipo di pittura, una zona di “libertà” lasciata alla materia, al caso che agisce, per la sua parte, nei dipinti di Degipo, come nella natura e nella vita, imparziale, imprevedibile, straordinario.
Allora un lavoro di Degipo, come spesso accade nelle cose degli uomini, è frutto di ricerca, studio invenzione, artifizio, gioco ma è anche e sopratutto un atto di intelligenza e di amore.

Domenico Camera – 1975 – Art Room (Genova)


1979

Penso sarebbe curioso e provocante tentare la formulazione di una teoria del paesaggio partendo dalle astrazioni di Sergio Degipo.

Intanto, malgrado le apparenze, la storia del paesaggio è una storia di interiori trasalimenti e di silenti meditazioni.
Ruisdael, Corot, Morandi; esseri che non possiamo pensare estroversi e sanguigni, ma quasi asceti che lasciano pacatamente tracimare l’intima loro natura vestendola di colline, alberi, aria, luce.

Come gli antichi maestri non costruivano le loro visioni seguendo solo i calcoli geometrici dei prospettici, così oggi Sergio non ricava i suoi paesaggi interstellari dai diagrammi o dalle fredde equazioni degli astronomi comprensibili solo agli iniziati.
Lo attira all’inizio una qualche forma appena nascente che viene guidata e meditata con amorosa attenzione fino alla estensione conclusiva, quando le forme granulose, piumose o arborescenti cominciano a proiettare ombre sottili su impalpabili nebbie che s’intridono di raffinati cromatismi.
La luce, meglio le luci, accendono poi forme e colori infondendo vita e moto a “paesaggi” non raggiungibili, non visti, non visibili, ma ben presenti, luminosi e reali. Altri hanno colto prima di me, giustamente, in questa pittura un evidente gioco di riflessi fra macrocosmo e microcosmo. Oggi mi piace ricordare a questo proposito, grazie agli splendenti dipinti di Sergio, le parole iniziali. solo apparentemente ermetiche della Tavola di Smeraldo:

“E’ vero senza menzogna, certo ed assai veritiero: ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto e ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso; mediante queste cose si compiono i miracoli di una sola cosa”.
Che in questo caso è l’eternamente rinnovato miracolo della misteriosa ma sostanziale unità dell’Arte.

Giovanni Grasso – Fravega – 1979 – Galleria d’Arte Boccadasse


1995

Grafico pubblicitario (suo, per esempio, il “logo” della Cassa di Risparmio di Genova e Imperia), quindi attento per professione alla sintesi e ai messaggi, Sergio Degipo, quando dipinge, sa cogliere e fissare i fascinosi cromatismi della propria fantasia, il dipanarsi fluttuante del suo pensiero, le ondivaghe visioni di una personale, seducente cosmologia.E la sua fantasia risulta stupita e ammirata, ma avvertita e attenta, sia che esplori l’infinitamente grande che l’infinitamente piccolo (che poi, si sa, spesso morfologicamente coincidono, di là della scala).
Così Degipo riesce a consegnarci i colorati paesaggi di una immaginazione evocatrice di realtà altre e parallele, di una immaginazione munifica di mondi tutti da esplorare, di una immaginazione premonitrice di avvincenti odissee senza fine per ulissidi stanchi e talvolta disincantati, ma non ancora sconfitti.
Degipo sa sorridere del mistero indagato attraverso la visione (libertà), sa convivere con la follia e i suoi imprevedibili codici (estraniazione), sa prendere con serietà il gioco con gli altri e con sé (sfida). Propone, con malizia e discrezione, un punto di vista per spiare il fantastico (ma sembra suggerirci: e se si ,trattasse poi del reale?) attraverso segnali e interpretazioni dei segnali, totalmente suoi.
“E se si trattasse poi del reale?”, dicevamo: infatti, quante volte le intuizioni degli artisti si sono rivelate, nel tempo, le scoperte degli scienziati? Intendo dire: quante volte gli artisti hanno captato ciò che la scienza solo successivamente ha scoperto e dimostrato?
E se le colorate allegorie di Degipo non fossero che la reminiscenza o la percezione, il ricordo o l’attesa di angoli lontani, sconosciuti, irraggiungibili dell’universo?
Talmente vasto è il mistero attorno a noi che un bizzarro e insondabile calcolo delle probabilità potrebbe consentirne la reale esistenza in qualche remoto recesso dello spazio.
Nulla di religioso, di onirico, di filosofico in questo suo operare: soltanto un’anarchica e ludica fantasia presiede all’organizzarsi, attraverso il colore, delle forme-informi sulla tela.
Allora Degipo ci regala, ancora una volta, un magmatico ribollire di vortici, figure, cromatismi; gioiosi appunti-spunti per ulteriori, private ricerche, quali benefiche e rasserenanti sospensioni dalla realtà conosciuta. Il tutto attraverso un borgesiano gioco di specchi, riflessi, rinvii, labirinti del sentire e del fantasticare, che ci consentono di affacciarci sulle caleidoscopiche visioni, sulle segrete alchimie dell’anima e dell’universo.

Raffaele Francesca – 1995 – Boom Cloom


2003

Degipo, un pittore che seppe vedere oltre

Le emozioni e le sensazioni sono il lievito delV immaginazione. Vasserzione è mia, connessa a una ricerca d’antan, a quando la storia dell’arte di avanguardia e il suo sperimentalismo si manifestavano in profondità, nei limiti di un arte determinata dal contatto con una immaginazione che miscelava figure e narrazioni ma che si prospettava anche in estensione.

Giulio Carlo Argan, uno dei maggiori specialisti dei movimenti artistici dell’epoca, predicava che la sensibilità critica moderna doveva contemplare il mondo dell’arte in divenire con uno sguardo così distaccato da parere retrospettivo. Si diceva di un arte in espansione, formalmente aperta e continuamente rinnovata. Per contro si teneva conto di quanto aveva affermato Piero Jahier in una sua poesia: “e se l’ho detto è perché ha traboccato”.
Medesima, forse e in pratica, la ragione del mio recupero memoriale ora che avverto, coincidente col tempo in atto, la pregiudiziale di Ortega y Gasset quando, saggiamente, aveva pronunciato: ‘l’avanguardia rappresenta e esprime la disumanizzazione dell’arte”. O, piuttosto, perché a suscitarla è stato, ora che è scomparso l’artista, il duplice lavoro, di grafico e di pittore, di Sergio Degipo.
Le cui suggestioni formali e le varianti estetiche – che lo indussero, contemporaneamente, a un oggettrvismo critico e a un soggettivismo pratico e avveniristico dello spirito scientifico – collegano, per via di opposizione, l’antitetico dualismo di razionalità e, appunto, di immaginazione, che non è, quest’ultima, frutto di fantasia bensì, siccome recita il Devoto, “elaborazione di dati sperimentali o facoltà di cogliere il valore di una ipotesi o di una in-terpretazione a livello superiore”. Degipo dunque, di cui si dovrebbero dire, dettagliatamente, le numerosissime campagne pubblicitarie e promozionali per la maggiori aziende pubbliche e private dell’industria e del commercio nazionali e internazionali e – dopo aver ricordato che è suo il “marchio” distintivo della Carige, i quattro rombi che sintetizzano geometricamente (o, come avrebbe detto Mondrian, in modo neoplastico) la nostra regione – la predilezione spiccata che egli ebbe per il fare pittura affinchè l’artifizio esprimesse un mondo altro o “oltre”, situato tra le interrogazioni filosofiche della scienza, ovvero della logica interna ad alcune teorie scientifiche, e a quelle funzioni di verità che l’artista intuisce, transitive e fantasmatiche, tra la forma e il contenuto dell’essenza. E’, appunto, del Degipo pittore che si vuole qui dire, del suo modo di intendere l’essenza e di rappresentarla attraverso la sua forma d’attrazione sensibile mediante la manipolazione e l’impiego degli strumenti linguistici dal far pittura. I quali, tuttavia, sono adoperati dal Nostro in modo ‘romantico’, senza tener conto della loro evoluzione storicamente avvenuta tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 e perseguendo, semmai, l’esplorazione dell’ignoto, grande o piccolo che sia, comunicandolo mediante l’interpretazione, del tutto soggettiva, degli spazi infiniti dell’universo. Ciò considerando anche quanto è accaduto nell’ambiente artistico milanese nei primi anni ’50 del secolo appena passato, ovvero quando Enrico Baj e Sergio Dangelo, fondatori del Nudearismo, sostennero il tramonto di tutti gli “ismi” “intesi come correnti separate legate allo stile eia decadenza della pittura vincolata indissolubilmente, come tale, all’accademismo”. Di fatto, Degipo, che stava frequentando il Politecnico lombardo, aderì, con Joe Colombo, Gianni Bertini e lo scultore Consagra, al movimento Nucleare che succedeva allo Spazialismo, fondato nel ’47 da Lucio Fontana. L’avvenimento testimonia la sua volontà di ricerca del nuovo dentro l’ignoto; il suo bisogno di esplorare la realtà, stimolato dalla conoscenza e dall’immaginazione.
Per mezzo della divulgazione epistemologica di “Scienze”, la rivista che confortò le sue indagini conoscitive (per esempio il ricorso alla ellisse come centro di simmetria nel quale si intersecano due assi di diversa lunghezza), e con la pittura – che affiancò all’esercizio, allora pioneristico, di grafico pubblicitario – egli cercò di “rappresentare” ciò che certamente è e il cui aspetto si può soltanto immaginare: “pianeti e stelle su galassie lontane dalla terra”, come del suo lavoro scrisse Raffaele Francesca , presentandone a Genova, nel 1995, l’ultima mostra.
C’è un sito internet, www.degipo.it, che informa, con ricchezza di particolari e con tante immagini, della sua carriera artistico-professionale. Tuttavia, pur avvertendo criticamente, nella sua pittura, una supposta estraneità alle ragioni d’essere dell’astrattismo neoplastico e persino delle accezioni informali, sono evidenti, nella sua espressività pittorica, pulsioni e influenze ben ascrivibili a quelle correnti internazionali del XX secolo che hanno modificato, attraverso la conoscenza e l’indagine sulle stesse ragioni dell’arte e dei suoi strumenti, il linguaggio espressivo e la conseguente comunicazione.
Chiare, direi evidenti, le ascendenze: l’Esperessionismo pittorico del Die Briicke, per le accentuazioni e le distorsioni espressive e quindi la dimensione inquietante e nascosta di Kubin o l’intensità psicologica di Klee.
Intuitivamente dovremmo pensare che avesse interessi anche per le altre collocazioni secessioniste, tra quelle letterarie di Trakl o di Kafka, per le accezioni musicali di Schon-berg o Derg, o, perslno, per le realizzazioni cinemàtografiche di Robert Wìene che raccontò II Gabinetto del Dottar Calligari. L’Informale, infatti, laddove impiegava e spiegava forma organiche o biomorflche, non è adoperato da Degipo abbandonando la rappresentazione mimetica del mondo ma per ottenere, espressionisticamente e figurativamente, effetti fantasmatici, al fine di consentire alla fantasia di immaginare, appunto, un “oltre” probabile. Certo non casualmente, credo, bensì conoscendo, come capitava alla curiosità esistenziale di Degipo, il reale stato di sviluppo delle scienze e avendo sentore delle ricerche fisiche e filosofiche sulle problematiche spazio-temporali e sul costrutto matematico che rappresentava il teatro degli eventi.
Persino II Surrealismo, i suoi meccanismi inconsci e casuali, furono centrali all’estetica e, direi, alla morale dell’artista, le cui opere visionarie, pittoricamente leggere e trasparenti, diafane e accese di energia luminosa (“primo visibile, cagione di bellezza”, quale l’appellò il monaco polacco Vitellione, o ‘irraggiamento visibile ma penetrante nelle cose “, come la disse San Bonaventura) testimoniano l’immaginario trasfigurante concepito da Sergio Degipo, pittore che non ha separato visione e rappresentazione, memore, certo, del detto va-sariano per cui soltanto chi vede sa rappresentare.

Germano Beringheli – 2003 – La Casana (Carige)