Ricordo Personale

Ci siamo persi di vista, per via del solito “travolgente quotidiano”. Ma l’amicizia – sarò presuntuoso – è rimasta intatta, ben al di là della frequentazione che aveva subito un lungo intermezzo dal fatidico (e fortunato) 31 marzo 1990: le mie dimissioni dalla Cassa di risparmio. Del resto, a ricordarmi “Degipo” mi sarebbe bastata, eccome, la sua tela che campeggia da anni nel mio studio e aveva tanto incuriosito mia figlia quando incominciava a districarsi tra figure, colori e “quel qualcosa che ti muove dentro” e ti fa pensare, riflettere, qualche volta capire, ma sempre condividere. Tanti ricordi. Già: ad esempio un viaggio a Sarmeola di Rubano e Padova e zone limitrofe, per il congresso – il primo! – dedicato alla comunicazione in banca (c’eravamo solo noi due, di tutti quelli che potevano e avrebbero dovuto imparare qualcosa in un settore in cui, invece, si limitavano a comandare senza capirci nulla…). Ci siamo ritrovati a parlare di come immaginavamo il futuro. Mica ci si può cullare pensando solo a ieri e avantieri, anche se il passato – nel caso di “Degipo”, non di me – era già allora di assoluto prestigio. Ma, qualche volta, ci pareva d’essere marziani: a Sarmeola, figurarsi a Genova, in quel grattacielo di vico Casana, in quell’Ufficio Relazioni esterne in cui nessuno aveva mai sentito parlare di Philip Kotler o di Armando Testa, di marketing e di comunicazione, di creatività che è tutt’altra cosa dall’improvvisazione, di creativo che è tutt’altro soggetto dal genialoide. Mi era sembrato, allora, che lui avesse ritrovato l’entusiasmo, nonostante le difficoltà di confrontarsi – e farsi giudicare, accidenti! – da fior di spocchiosi incompetenti. Ma mica si parlava solo di “campagne”, di “lay out”, di “esecutivi” e di “pellicole”: lui, lo sanno benissimo quelli che l’hanno conosciuto e l’hanno avuto vicino, era uno che conosceva l’Arte e gli artisti, che aveva individuato proprio “quel qualcosa che ti muove dentro”, applicandolo egli stesso, direttamente sulla tela. Lo rivedo con quei bozzetti – quelle idee! – in mano, a discutere con il buon Ceriale (se n’è andato anche lui, troppo presto) e col sottoscritto. Progetti, lavori in cammino: “Ma perché non riprendi a dipingere?” continuavo a provocarlo. E poi, un rimprovero bonario: ma cosa ci fanno lì quei quadri tenuti nascosti? Uno di quei quadri nascosti ora lo guardo – lo ammiro – ogni giorno che voglio, nello studio. E’ anche per questo che l’amicizia è rimasta intatta, nonostante… Avremmo avuto un sacco di cose da dirci, sulla “comunicazione” che diventa “Comunicazione”, sulle banche e sull’animo umano, sul futuro che per lui, per l’Amico “Degipo” sarebbe stato davvero un Grande Avvenire dietro le spalle se solo i conti, nella vita, tornassero secondo la legge della sensibilità.

Ciao, Degipo: lo vedi, tolgo le virgolette. E ti ringrazio. Il tuo quadro sta sempre lì. M’era venuto in mente di metterlo in un’altra stanza, magari si sarebbe visto meglio. Invece, no. Il posto giusto è quello.

A volte si ha l’illusione – la fede – che il tempo si possa fermare. Sulla tela e nel nostro scrigno interiore.

Ferruccio Repetti